Pianificazione urbanistica e limiti alle strutture di vendita

 Pianificazione urbanistica e limiti alle strutture di vendita

a cura dell’Avv. Luciano Salomoni

Attenzione alle restrizioni alla libera prestazione dei servizi

(TAR LOMBARDIA – MILANO, SEZ. I, 10 OTTOBRE 2013, N. 2271)

Il TAR Lombardia, sez. Milano, afferma l’illegittimità delle prescrizioni di pianificazione urbanistica che pongano limiti incondizionati all’insediamento/ampliamento di attività commerciali in determinati ambiti territoriali, salvo si tratti di restrizioni strettamente correlate e proporzionate ad effettive esigenze di tutela dell’ambiente urbano o afferenti all’ordinato assetto del territorio sotto il profilo della viabilità, della necessaria dotazione di standard o di altre opere pubbliche: con l’entrata in vigore della c.d. Direttiva ‘Bolkenstein’ (n. 123/2006/CE) – recepita nel nostro ordinamento con il DLgs n° 59/2010 (e successivi provvedimenti di liberalizzazione) – l’iniziativa economica non può più essere assoggettata a limitazioni se non per stringenti motivi di interesse generale e in ogni caso le misure restrittive devono essere adeguate e proporzionate ai risultati perseguiti. Per l’effetto, con la pronuncia in oggetto il TAR ha annullato un PGT nella parte in cui prevedeva un divieto incondizionato di apertura in un dato ambito territoriale di medie strutture di vendita con superficie superiore a 600 mq.

Con la sentenza in commento il TAR Milano ha accolto il ricorso di un operatore economico che aveva presentato domanda autorizzazione all’ampliamento della superficie di vendita del proprio esercizio. L’autorizzazione era stata denegata rilevando che l’ampliamento non sarebbe stato consentito dalle disposizioni di urbanistica commerciale di cui al PGT in quanto le stesse escludevano, all’interno di dati ambiti territoriali caratterizzati dalla prevalenza di edifici e destinazione residenziale, l’insediamento di medie strutture di vendita con superficie superiore a un determinato dimensionamento (600 mq).
La società ricorrente ha pertanto impugnato il diniego assumendo, quale motivo di censura, che la previsione di un divieto incondizionato di apertura di medie strutture di vendita di superficie superiore a 600 mq. nella zona denominata “ambito urbano consolidato n. 2”, contenuto nel PGT e, prima ancora, nei criteri di urbanistica commerciale adottati dal Comune, sarebbe stato in contrasto con la c.d. Direttiva ‘Bolkenstein’, recepita in Italia con il DLgs n° 59/2010 (e successivi provvedimenti di liberalizzazione, i quali ne hanno precisato la portata e gli effetti).  Il TAR nella suddetta pronuncia svolge un ampio excursus sulla normativa in materia, ponendo l’attenzione sul DLgs 114/1998 (che aveva prefigurato un meccanismo di forte integrazione fra urbanistica e disciplina economica delle attività commerciali di maggiore rilevanza, ossia medie e grandi strutture, prevedendo che le Regioni dovessero dettare indirizzi generali per il loro insediamento e criteri di programmazione urbanistica riferiti al settore commerciale i quali dovevano poi essere recepiti dai Comuni nei PRG) e sul DL n° 223/2006 (con il quale è stato sancito il divieto, operante anche per le Regioni, di sottoporre l’apertura di nuovi esercizi commerciali – ed ivi comprese medie e grandi strutture – a limiti riferiti a quote di mercato predefinite o calcolate sul volume delle vendite a livello territoriale sub regionale); passa poi ad esaminare la Direttiva ‘Bolkenstein’ (n. 123/2006/CE) – nonché la relativa normativa di recepimento – volta alla riduzione dei vincoli procedimentali e sostanziali e tesa a favorire la creazione nei vari Stati membri di un regime comune mirato a dare concreta attuazione ai
principi di libertà di stabilimento e libera prestazione.
La normativa comunitaria prevede (i) che l’iniziativa economica non possa, di regola, essere assoggettata ad autorizzazioni e limitazioni (specie se dirette al governo autoritativo del rapporto fra domanda ed offerta), essendo ciò consentito solo qualora sussistano quei motivi imperativi di interesse generale che rientrano nel catalogo formulato dalla Corte di Giustizia e (ii) che, anche qualora sussistano dette valide ragioni per adottare misure restrittive della libertà d’impresa, queste debbano essere adeguate e proporzionate agli obiettivi perseguiti.
Pertanto – prosegue il TAR – in virtù della menzionata direttiva e della normativa nazionale di recepimento deve distinguersi tra atti di programmazione economica – che di regola non possono più essere fonte di limitazioni all’insediamento di nuove attività – e atti di programmazione aventi natura non economica i quali, purché nel rispetto del principio di proporzionalità ed adeguatezza agli obiettivi, possono imporre limiti rispondenti a motivi imperativi di interesse generale. Aggiunge, quindi, il TAR che la suindicata distinzione deve essere operata anche con riguardo agli atti di programmazione territoriale, rispetto ai quali pertanto deve verificarsi di volta in volta se perseguano la mera regolazione autoritativa dell’offerta sul mercato dei servizi attraverso restrizioni territoriali alla libertà di insediamento delle imprese (ciò che deve ritenersi vietato) oppure perseguano finalità di interesse generale di tutela dell’ambiente urbano o dell’assetto del territorio. Ai sensi di legge, pertanto – puntualizza il TAR – ricadono nell’ambito delle limitazioni vietate non solo i piani commerciali che sanciscono il contingentamento numerico delle attività economiche ma anche gli atti di programmazione territoriale urbanistica che impongono tout court “limiti territoriali” al loro insediamento (e ciò salvo, come chiarito, che si tratti di limitazioni scaturenti da motivi imperativi d’interesse generale e sempre che siano proporzionate ed adeguate agli obiettivi) e, di conseguenza, devono considerarsi illegittime le disposizioni di pianificazione e programmazione territoriale che pongano limiti, programmi e controlli non ragionevoli, ovvero non adeguati o non proporzionati rispetto alle finalità pubbliche dichiarate, e che in particolare impediscano, condizionino o ritardino l’avvio di nuove attività economiche o l’ingresso di nuovi operatori economici.
Il sindacato cui è chiamato il giudice amministrativo al riguardo è molto più incisivo di quanto fosse consentito in passato, e ciò in quanto il medesimo è tenuto a verificare, attraverso un’analisi degli atti preparatori e delle concrete circostanze di fatto, se effettivamente i divieti imposti possano ritenersi correlati e proporzionati ad effettive esigenze di tutela dell’ambiente urbano o afferenti all’ordinato assetto del territorio sotto il profilo della viabilità, della necessaria dotazione di standard o di altre opere pubbliche o meno.
Osserva da ultimo il TAR -ciò che costituisce ulteriore profilo di interesse- che la Direttiva ‘Bolkenstein’ e relativa normativa nazionale di attuazione non dispongono solo per il futuro in quanto contengono vere e proprie clausole di abrogazione attraverso le quali il legislatore statale ha manifestato la volontà di incidere sulle norme regolamentari e sugli atti amministrativi generali vigenti, imponendo a Regioni e Comuni di operare una revisione dei propri strumenti pianificatori urbanistici al fine di individuare quali norme siano effettivamente necessarie per la salvaguardia degli interessi di rango primario annoverabili fra i motivi imperativi di interesse generale e quali, invece, siano espressione diretta o indiretta dei vecchi principi dirigistici che la direttiva ha inteso definitivamente superare, con la conseguenza che (in virtù del principio scaturente, in via generale, dal comma 2 dell’art. 1, L 131/2003 e sancito dalla giurisprudenza) l’inutile decorso del termine assegnato dal legislatore statale per l’adeguamento degli ordinamenti regionali e locali ai principi sanciti determina la perdita di efficacia di ogni disposizione regionale e locale, legislativa e regolamentare, con essi incompatibili.
In relazione al caso di specie, secondo il TAR Lombardia le disposizioni contenute nel PGT del Comune limitative dell’insediamento di medie strutture di vendita non erano correlate ad esigenze di natura urbanistica o ambientale bensì a valutazioni relative ad interessi di natura economica (in termini di analisi socio-economica circa la sufficienza e adeguatezza della rete distributiva nelle sue varie articolazioni a soddisfare la domanda) e pertanto il TAR ha concluso nel senso che dette disposizioni contenute nelle NTA del PGT dovevano ritenersi abrogate per incompatibilità con la normativa sopravvenuta in materia di liberalizzazione del mercato dei servizi e, per l’effetto, ha annullato il diniego di autorizzazione che su di esse si era fondato.
La pronuncia risulta di sicuro interesse per le conseguenze che il TAR trae dalla normativa europea sulla liberalizzazione dei servizi economici. Da annotare, quindi, che alla luce della nuova disciplina comunitaria la pianificazione urbanistica dovrà risultare ancor più allineata a esigenze meramente territoriali, poiché ogni valutazione sulla situazione economica e sullo stato dell’offerta dei servizi sul territorio comunale rischia il vaglio negativo del Giudice Amministrativo.

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