Le norme anticorruzione
a cura dell’Avv. Luciano Salomoni
I (molti) dubbi ancora aperti sulle modalità di attuazione da parte degli Enti Locali
La legge 190/2012 interviene per la prima volta a disciplinare in modo organico la pianificazione di interventi di prevenzione e contrasto della corruzione da parte delle Amministrazioni. Di estrema attualità è il problema dell’attuazione della Legge da parte degli Enti Locali, mediante la nomina dei responsabili anticorruzione e l’elaborazione dei Piani triennali, in assenza degli atti di pianificazione statale e delle intese in sede di Conferenza Unificata Stato Regioni. L’articolo esamina brevemente le modalità di intervento per i Comuni, e per gli Uffici Tecnici, in questo momento di “vuoto”.
La legge 190, entrata in vigore nel novembre 2012, lascia ancora oggi molti interrogativi aperti sulle sue modalità di attuazione, che risultano di estrema attualità in ragione delle “scadenze” fissate dal medesimo testo normativo. D’altronde, è la prima volta che il nostro legislatore interviene imponendo agli Enti Locali l’adozione di misure anticorruzione.
Diversi sono i quesiti e le problematiche che gli Enti Locali espongono relativamente all’attuazione delle nuove norme anticorruzione. Vediamo in questa sede di fornire un quadro dello stato di attuazione della disciplina contenuta nella L. 190/2012.
Si consideri anzitutto, per comprendere le novità introdotte, che l’esigenza di un simile intervento normativo è emersa chiaramente dal rapporto della Commissione per lo studio e l’elaborazione di proposte in tema di trasparenza e prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione istituita dal Ministro della Funzione Pubblica Patroni Griffi a novembre 2011. In quella sede si evidenziò come la corruzione costituisse anzitutto un fenomeno di rilievo economico: “le scelte sottese al pagamento o all’accettazione di tangenti –si legge nel Rapporto della Commissione- sono il risultato di un calcolo razionale, compiuto tenendo conto dei costi (tra cui la probabilità di essere scoperti e la severità delle sanzioni previste) e dei vantaggi attesi, confrontati con il costo delle alternative disponibili”. Ma non è solo il vantaggio economico a favorire la corruzione, in quanto “il diffondersi dei fenomeni corruttivi è meno probabile in quei contesti nei quali più elevati sono gli standard morali, il senso civico, lo “spirito di corpo” e il senso dello Stato dei funzionari” e, quindi, “la corruzione è tanto meno diffusa quanto maggiore è la forza delle convinzioni personali e delle cerchie sociali di riconoscimento favorevoli al sistema di valori che sostiene il rispetto della legge”.
In ragione della radice economica e sociale del fenomeno corruttivo il legislatore ha quindi ritenuto necessario introdurre misure “volte a rendere efficace non solo la repressione del fenomeno ma anche, e prima ancora, la prevenzione dello stesso, intervenendo sull’integrità dei funzionari pubblici e, dunque, tra l’altro, su codici di condotta, incompatibilità, responsabilità disciplinare, oltre che sui controlli interni e sui livelli di trasparenza”.
Per tali ragioni la legge 190 è anzitutto una normativa di programmazione e pianificazione di interventi, e di disciplina delle situazioni di incompatibilità dei funzionari delle Amministrazioni centrali, oltre che degli Enti Locali, nei quali è particolarmente sentito il dibattito sulle modalità per dare attuazione a tali misure. Vediamone le linee operative.
Anzitutto, la nuova legge “anticorruzione” individua nella Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche (CIVIT) l’Autorità nazionale anticorruzione, con il compito, tra l’altro, di approvare il Piano nazionale anticorruzione appositamente predisposto dal Dipartimento della funzione pubblica.
La 190/2012 pone poi l’accento sulle figure chiamate a svolgere le funzioni di responsabile della prevenzione della corruzione. Nel caso degli Enti Locali, tale nuovo soggetto “è individuato, di norma, nel segretario, salva diversa e motivata determinazione”. Si tratta di una precisazione particolarmente opportuna, poiché supera le notevoli difficoltà nell’individuare l’ufficio cui possa essere attribuita la funzione di responsabile anticorruzione.
Ma a chi spetta il potere di nominare il responsabile anticorruzione? I dubbi sulla competenza per la nomina di tale nuova figura sono stati risolti dalla CIVIT che, con delibera n. 15/2013, si è espressa nel senso di ritenere tale potere direttamente in capo al Sindaco “quale organo di indirizzo politico amministrativo, salvo che il singolo Comune, nell’esercizio della propria autonomia normativa e organizzativa, riconosca, alla Giunta o al Consiglio, una diversa funzione”.
E’ poi la programmazione degli interventi anticorruttivi a costituire –come anticipato- il vero tassello della nuova normativa e a rappresentare il momento di attuazione della disciplina da parte degli Enti Locali. In particolare, il piano anticorruzione diviene momento di “valutazione del diverso livello di esposizione degli uffici al rischio di corruzione” e sede per individuare “gli interventi organizzativi volti a prevenire il medesimo rischio”.
Nello specifico, gli strumenti di controllo del fenomeno corruttivo sono articolati in un piano triennale di prevenzione della corruzione, che deve essere aggiornato annualmente, entro il 31 gennaio di ogni anno.
L’entrata a regime del nuovo sistema ha sollevato da subito non pochi problemi: inizialmente la data per la predisposizione del piano e la proposizione al Dipartimento della funzione pubblica era fissato al 31 gennaio 2012, scadenza che è stata differita al 31 marzo 2013 dall’art. 34 bis c. IV D.L. 179/2012 conv. L. 221/2012. Il nuovo termine così individuato, non è però perentorio e, quindi, ciò ha condotto diversi Enti Locali a ritardare l’elaborazione del Piano. Infatti, come ha precisato la CIVIT, “il Piano triennale dovrà essere adottato entro il tempo strettamente necessario e secondo le linee indicate nel Piano nazionale anticorruzione, dopo l’approvazione delle stesso da parte della Commissione”.
La preventiva approvazione del Piano Nazionale parrebbe quindi elemento necessario per l’elaborazione degli atti degli Enti Locali. Sennonché, il Piano nazionale non è ancora stato predisposto. Nonostante ciò, la CIVIT“non esclude che, nell’attesa, le singole amministrazioni, su proposta del responsabile della prevenzione della corruzione, procedano alla prevista valutazione del diverso livello di esposizione degli uffici a rischio di corruzione”. Di conseguenza le pubbliche amministrazioni, comprese le Regioni e gli Enti locali, possono adottare il piano triennale, salvo la necessità di apportare allo stesso eventuali modifiche e integrazioni alla luce del contenuto del Piano nazionale anticorruzione, una volta che sarà predisposto e approvato.
Sull’articolazione dei contenuti del Piano sorge un ulteriore difficoltà operativa: il comma LX dell’art. 1 l. 190/2012 stabilisce che entro centoventi gironi dalla data di entrata della stessa legge, in sede di Conferenza unificata Stato Regioni, si definiscano, attraverso il meccanismo delle “intese”, gli adempimenti cui sono tenute Regioni ed Enti Locali, con indicazione dei relativi termini, onde definire il piano triennale della corruzione. Ma anche tali intese, ad oggi, non sono ancora state definite. Tuttavia, l’ANCI suggerisce alle Amministrazioni in via prudenziale, nell’attesa di queste intese, “di avviare il lavoro per la definizione delle Prime Misure in materia di prevenzione alla corruzione; ciò al fine di dare una piena e sollecita attuazione al complesso delle disposizioni recate dalla legge n. 190 ed in considerazione del rilevante apparato sanzionatorio che comunque ricade in capo al responsabile della prevenzione nel caso in cui si verifichi un reato di corruzione accertato con sentenza passata in giudicato (art. 1, c. 12,13,14)”.
Gli Enti Locali si trovano pertanto ad elaborare i Piani Anticorruzione in assenza di quelle “intese” che dovrebbero orientarne la predisposizione e del piano nazionale cui conformarsi. Utile riferimento risulta allora, per questa attività, il d.p.c.m. del 16 gennaio 2013 con cui sono state adottate le “Linee di indirizzo del Comitato interministeriale” per la redazione del Piano nazionale anticorruzione e dei piani di prevenzione triennali che ciascuna amministrazione è tenuta ad elaborare. In altri termini, sulla scorta delle sollecitazioni sia da parte della CIVIT che dell’ANCI, queste linee guida possono essere seguite dagli enti locali ai fini della predisposizione del piano triennale, nonostante a livello nazionale non si siano ancora fatti passi nel senso della predisposizione del Piano Nazionale.
Venendo al contenuto del Piano, la fase preliminare alla sua redazione consiste nell’individuazione delle attività nell’ambito delle quali è più elevato il rischio di corruzione. Il comma XVI dell’art. 1 della legge fornisce a tal fine un elenco, non tassativo, di procedimenti a rischio di corruzione: i) autorizzazioni o concessioni; ii) scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, anche con riferimento alla modalità prescelta ai sensi del d.lgs. 163/2006; iii) concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati; iv) concorsi e prove scritte selettive per l’assunzione del personale e progressioni di carriera.
Si noti come l’elenco delle attività sia meramente indicativo di quei settori ritenuti maggiormente interessati dal fenomeno della corruzione. Infatti, il responsabile della prevenzione della corruzione dovrà individuare tutte le tipologie di attività –e procedimenti- in cui, in ragione dell’attività svolta dalla p.a., il rischio corruttivo è elevato e, quindi, potrà individuare settori diversi da quelli indicati dalla norma. A tal fine il responsabile si avvarrà anche delle proposte dei dirigenti i quali, sulla base del vigente assetto normativo, hanno un ruolo fondamentale in materia di azioni volte alla prevenzione della corruzione.
Oltre all’individuazione delle attività maggiormente esposte alla corruzione, il piano è volto a prevedere, in relazione alle stesse, meccanismi di formazione, attuazione e controllo delle decisioni idonei a prevenire il rischio di corruzione, in particolare prevedendo obblighi di informazione nei confronti del responsabile della prevenzione della corruzione.
Si aggiunga che il piano deve contenere previsioni dirette a consentire di monitorare sia il rispetto dei termini, previsti dalla legge o dai regolamenti, per la conclusione dei procedimenti, sia i rapporti tra l’amministrazione e i soggetti che stipulano con essa contratti o che sono interessati nei procedimenti di autorizzazione, concessione o erogazione di vantaggi economici. Infine, deve individuare specifici obblighi di trasparenza ulteriori rispetto a quelli previsti da disposizioni di legge (in tema si veda il d.lgs. 33/2013 recante “Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”).
Quanto ai procedimenti di scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, il c. XXXII dell’art. 1 stabilisce un obbligo di pubblicazione sul sito web istituzionale della stazione appaltante di tutte le informazioni ad esso relative, che devono essere trasmesse dalle stazioni appaltanti all’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici (che con Deliberazione n. 26 del 22 maggio 2013 ha elaborato le “prime indicazioni sull’assolvimento degli obblighi di trasmissione all’Autorità, ai sensi dell’articolo 1, comma 32 della legge n. 190/2012”).
Tra gli adempimenti facenti capo al responsabile della prevenzione della corruzione, oltre alla predisposizione del piano triennale, è ricompresa la definizione delle procedure appropriate per selezionare e formare i dipendenti che operano in quei settori esposti alla corruzione, entro il medesimo termine previsto per l’adozione del piano triennale. Inoltre il responsabile deve pubblicare sul sito web della p.a., entro il 15 dicembre di ogni anno, una relazione recante i risultati dell’attività svolta e trasmettere, nello stesso termine, la relazione all’organo di indirizzo politico della p.a. In più provvede: alla verifica dell’efficace attuazione del piano e della sua idoneità, proponendo, se necessario, l’eventuale modifica; alla verifica, d’intesa con il dirigente competente, della rotazione degli incarichi; alla individuazione del personale da inserire nei programmi di formazione.
E’ quindi evidente la pluralità di contenuti del Piano e di attività cui è chiamato non solo il responsabile anticorruzione, ma tutti gli Uffici degli Enti Locali. Tale nuova pianificazione investe direttamente l’attività degli Uffici legati al rilascio di titoli edilizi, considerate come procedure “a rischio”. Si tratta, però, di un’individuazione che deve essere colta nella luce corretta: il legislatore non ha voluto esprimere una nota di disfavore per le funzioni tecniche svolte negli Uffici legati all’urbanistica ed edilizia, bensì dotare tali Amministrazione di un nuovo, più moderno e comunitario, apparato procedimentale che, nello scongiurare il rischio corruttivo, finisce in definitiva per valorizzare il ruolo del funzionario quale “baluardo” all’ingresso delle logiche economiche e sociali che guidano il diffondersi della corruzione.